Quante volte siamo stati tentati dalla mania di spostarci tra varie tipologie di investimento? Magari sfidando Gordon Gekko che nel mitico “Wall Street” era in grado di acquistare aziende per poi rivenderle a pezzi usando le borse, per appropriarsi di pacchetti di maggioranza e vendere le società frutto di spin off, e i fondi immobiliari per gli edifici! Peccato che nella realtà le cose siano un tantino diverse, vediamo di seguito perché.
Supponiamo che, a seguito di un accentuato ribasso dei mercati, decidessimo di valutare un acquisto immobiliare residenziale a scopo di investimento, quindi non prima abitazione. Quali sono le domande che ci porremmo?
Credo le seguenti:
- Potrei metterlo a reddito?
- Potrei guadagnare sull’aumento del valore, comprando ora per poi rivendere a prezzi più alti?
- E se mi occorressero quei capitali investiti?
Prima di rispondere a queste domande chiariamo che in questa sede non entreremo nel dettaglio della tassazione immobiliare altrimenti ci infileremmo in un ginepraio complesso che necessiterebbe di una trattazione troppo lunga per un solo articolo, oltre al fatto che già ciò che tratteremo potrebbe risultare sufficiente al fine di far propendere l’ago della bilancia sull’opportunità o meno di investire in immobili per via di un ribasso dei mercati.
Sulla tassazione basti sapere che andrebbero considerate le tasse sulla proprietà (IMU), quelle sui redditi (IRPEF sui canoni di affitto o cedolare secca), quelle sul capital gain qualora si realizzasse la vendita del cespite entro cinque anni dall’acquisto oltre ai costi di transazione (notaio, imposte di registro, ecc…).
Bene, veniamo alle risposte in merito alle tre domande precedenti.
Potrei metterlo a reddito? Certamente, ma vanno considerati due aspetti importanti. Oltre alle tasse andrebbe considerato attentamente il rischio default dell’operazione, ossia l’affittuario che non paga il canone di locazione o procura dei danni all’immobile. Molti dei lettori purtroppo saranno certamente entrati in contatto con questo problema, anzi sembrerebbe essere aumentato negli ultimi 20 anni. In base a questo articolo, Inquilini morosi, quanto costano agli affitti italiani?, durante la pandemia sembrerebbe che oltre il 30% degli inquilini fosse moroso. Ora, chiaramente la pandemia è stato un caso eccezionale ma sembrerebbe che anche prima il 10% dei proprietari di casa avesse avuto almeno 2 inquilini morosi (leggete anche questo articolo: Inquilini morosi, in dieci anni più del 60 per cento).
Insomma, sintetizziamo dicendo che appare logico che in una nazione dove il 72,9% è proprietario della casa in cui abita e il tasso di disoccupazione oscilla continuamente tra l’8 e 13%, un inquilino su due potrebbe trovarsi suo malgrado a non potervi pagare l’affitto.
Qualora accadesse converrebbe rivolgersi al giudice? Sembrerebbe di no, sia per i costi legali che per la reale possibilità che gli affittuari non abbiamo proprietà da aggredire per essere risarciti sia degli arretrati che delle stesse spese legali. Infatti, si evince sempre negli articoli citati sopra, solo il 15,3% ha deciso di adire le vie legali.
Passiamo alla seconda domanda: potrei guadagnare sull’aumento del valore, comprando per poi rivendere a prezzi più alti? Certo che si, se il valore aumentasse altrimenti i guadagni diventerebbero perdite! Cosa è successo ai valori immobiliari negli ultimi anni, dal 2000 in poi? Vediamo i seguenti due grafici che mostrano:
– nel primo, la comparazione tra i due indici di riferimento MSCI WORLD REAL ESTATE INDEX (per gli immobili nel MONDO) e MSCI AC WORLD INDEX (per i mercati azionari MONDO);
– nel secondo, la comparazione tra i due indici di riferimento MSCI EUROPE REAL ESTATE INDEX (per gli immobili in EUROPA) e MSCI AC WORLD INDEX (per i mercati azionari MONDO).
Si può facilmente notare che le oscillazioni sono molto sostenute anche nel primo grafico in cui si rappresenta la situazione a livello mondiale (dove sono contenute aree in forte emersione, le economie emergenti, in cui è più che normale che i prezzi salgano magari con tassi di inflazione a due cifre). Il secondo grafico mostra come in europa dal 2007 i prezzi stanno cercando con molta fatica di tornare ai valori massimi, dopo un forte ribasso dal 2007 al 2009 e dopo l’inizio della pandemia. E’ di tutta evidenza che quanto continuamente verificato dal 1950 al 2000 sul mercato immobiliare italiano sia dovuto più ad una fase di sviluppo e ricostruzione post bellica che non ad un irrealistico assioma che sancirebbe che il mattone acquisti sempre valore.
In ultimo, è evidente nel secondo grafico che, oltre ad aver avuto oscillazioni sostenute che hanno comportato perdite rispetto ai valori di 15 anni fa, il mercato azionario nello stesso periodo ha triplicato il proprio valore. Anche nel primo grafico, immobiliare nel mondo Vs azionario nel mondo, di certo gli immobili non sono andati meglio dell’azionario (e provate ad immaginare i costi di avere un portafoglio immobiliare diversificato dal Vietnam al Perù).
Veniamo a questo punto all’ultima domanda a cui rispondere: E se mi occorressero quei capitali investiti?
Beh, qui non c’è partita! Per quanto riguarda gli investimenti di natura mobiliare – come titoli azionari ed obbligazionari, fondi comuni di investimento e sicav, certificati d’investimento, ecc… – possiamo sempre disinvestire prontamente ed anche parzialmente e per step, in base alle esigenze programmate o straordinarie, ai valori che il mercato quota. Per quanto riguarda il settore immobiliare la ricerca dell’acquirente richiede tempo, con valori che possono anche essere distanti dai prezzi stimati (in base alla necessità di venire in possesso più o meno velocemente dei capitali). Mettiamo che ci occorressero 25.000€ (per spese sanitarie, per esempio odontoiatriche) e, in mancanza di altra liquidità avessimo come unica possibilità quella di dover vendere un immobile del valore di 220.000€, cosa faremmo? Venderemmo solo il bagno?
L’immobiliare è un settore di investimento (quindi acquistato per non risiederci) molto valido ma non scontato, tutt’altro. E’ certamente utile considerarlo, anzi direi doveroso nell’ottica di una diversificazione del patrimonio, ma di certo non per via di una fase ribassista degli asset azionari.