L’acquisto di uno strumento finanziario può sempre definirsi “investimento”? (Parte 1  di 2)
L’acquisto di uno strumento finanziario può sempre definirsi “investimento”? (Parte 1 di 2)

L’acquisto di uno strumento finanziario può sempre definirsi “investimento”? (Parte 1 di 2)

Non tutti si pongono la domanda presente nel titolo. Invece dovrebbero, almeno una volta. Facciamo un po’ di chiarezza dissipando il primo dubbio: “investimento non è sinonimo di acquisto di un bene: strumento finanziario, immobile, oggetto di valore o qualunque altra cosa che pensiamo possa incrementare il proprio valore nel tempo”!

Quindi, cosa potremmo definire investimento? Sicuramente l’atto di acquistare qualcosa che si reputa abbia un valore intrinseco più basso di quanto potrà essere in futuro. Quale futuro? Beh, questo dipende da diversi ordini di considerazioni.

Senza scomodare trattati sulla materia e, soprattutto, riguardanti le varie tipologie di strumenti finanziari, ci limiteremo in questo articolo ad approfondire l’investimento in valori mobiliari quotati sui mercati finanziari internazionali. Avremo modo di parlare in futuro anche delle obbligazioni, delle singole valutazioni di titoli azionari, delle materie prime e di altre attività finanziarie, ma ora ci concentreremo sui mercati azionari prendendo ad esempio quelli USA. Naturalmente il metodo utilizzato sarà mutuabile per tutte le altre attività finanziarie.

Quando conviene investire? Quando, utilizzando un capitale che non serve per un medio-lungo periodo, si acquista a sconto con l’intento di vendere a premio, ossia ad un valore superiore. Chiariamo che per medio-lungo termine s’intendono più di 5 anni (anche 7), tatteremo in seguito l’argomento delle tempistiche di investimento e come individuarle.

Come facciamo a definire quando il mercato azionario USA è quotato a sconto? Ci vengono in aiuto gli studi sia di Robert Shiller, per cui ha vinto un premio Nobel, che quelli di Warren Buffet, per cui è diventato uno degli uomini più ricchi del pianeta (a voi stabilire quale dei due risultati avreste preferito conseguire)!

Robert Shiller, in estrema sintesi, ha escogitato un modo per creare un indicatore costruito sull’evoluzione del concetto di P/E (Price/Earning, ossia Prezzo diviso Utili). Quest’ultimo concetto si basa su 2 assunti:

1.- quando il rapporto tra il prezzo di un’attività finanziaria e la capacità di quest’ultima di generare utili (Prezzo/Utili) si scosta dalla media che lo stesso indicatore ha confrontando quello medio delle aziende nel proprio settore di appartenenza, vuol dire che il prezzo è elevato in caso di P/E più alto o che è basso se sotto le medie suddette, per cui definiamo l’attività in questione prezzata a sconto o conveniente;

2.- prima o poi questo scostamento è destinato a ridursi, se il prezzo è troppo alto scenderà per avvicinarsi alla media e viceversa.

Naturalmente, non acquisteremmo mai un titolo per il solo fatto che ha un P/E basso, andranno fatte anche altre valutazioni. Teniamo ben presente che anche le società che stanno per fallire potrebbero avere questo indicatore basso.

Quale potrebbe essere la difficoltà in questo tipo di analisi? Certamente fornisce un dato che non è di facile lettura per diversi motivi, tra cui:

  • per i non profondi conoscitori di analisi di bilancio, un dato valore potrebbe non voler dire nulla (magari gli utili sono anche fittizi o frutto di operazioni straordinarie);
  • il dato andrebbe comunque comparato con aziende simili dello stesso settore. Per simile si intende anche allo stesso punto di evoluzione. Un’azienda che ha già raggiunto le dimensioni finali desiderate attuerà piani di sviluppo e relativi costi diversi da una che invece vuole ancora aumentare la propria capacità produttiva;
  • Infine, sul prezzo e sugli utili finali, certamente l’inflazione e l’evoluzione tecnologica avranno la loro influenza. Quindi, considerare un P/E di 20 anni fa con uno di oggi potrebbe non essere particolarmente saggio.

Qui sotto un grafico che rende l’idea sull’andamento dei P/E di una società americana:

Ovviamente la considerazione nel corso del 2020 sarebbe comunque abbastanza semplice ma potremmo trarre indicazioni per il periodo dal 2011 al 2019?

Di seguito il grafico dei prezzi:

(Questo grafico è stato realizzato con un software di proprietà di ProRealTime, il link al loro sito è: https://www.prorealtime.com/it/)

Come si può agevolmente notare, l’ultimo trimestre del 2018 che sembrava essere un momento di contrazione del P/E in realtà era un bel segnale di acquisto in quanto, a fronte di una correzione importante dell’indicatore, in realtà il prezzo non era sceso di molto, fatte le debite proporzioni (notare che mentre il minimo del “P/E” di fine 2018 era molto sotto il massimo del 2015, -30% circa, il prezzo era comunque sopra il massimo del 2015, +15% circa). Cosa poteva significare? Probabilmante, o che gli utili erano cresciuti in modo sensibile, oppure che il prezzo scendeva con utili pressochè costanti (ottimo segnale che indicava la presenza di un margine di crescita).

Successivamente, nel 2020, il prezzo si è più che triplicato!

Questo procedimento, però, può non essere di facile lettura e, inoltre, non è utilizzabile prendendo valori di lungo termine. L’inflazione, l’innovazione tecnologica (sia di produzione che di prodotto) e le nuove tendenze di acquisto portano spesso a variazioni della composizione dell’output finale, per non considerare gli effetti degli interventi pubbici (incentivi o variazioni di imposte).

Qui intervengono gli studi di Robert Shiller, per superare queste difficoltà. A quale conclusione è pervenuto? Ha fatto in modo che il grafico storico del P/E non fosse influenzato ne dalle variazioni dell’inflazione ne dall’introduzione a breve e medio termine di nuove tecnologie. La formula del tipico Prezzo/Utile (o P/E) si è trasformata nel [(Prezzo – Inflazione)/Media Utili ultimi 10 anni]. Eliminando così dal risultato l’inflazione, l’incidenza del singolo prodotto venduto per un anno per via di una tendenza di acquisto temporanea, eventuali finanziamenti agevolati ottenuti in un dato periodo storico e altri effetti neutralizzati da un denominatore costituito non più dagli utili del periodo considerato (cosiddetti istantanei) ma dalla media degli utili degli ultimi 10 anni. Come si chiama l’indicatore di Shiller? CAPE RATIO = Cyclically Adjusted Price Earning Ratio, ossia Rapporto Prezzo su Utili Aggiustato per il Ciclo!

Torniamo al nostro ambito di applicazione, gli USA! Di seguito il grafico del CAPE RATIO relativo allo S&P500 (reperibile al seguente link: https://www.multpl.com/shiller-pe):

Come si può osservare abbiamo un grafico non influenzato dall’inflazione e da altri fattori esogeni che può darci l’idea di come oscilla il prezzo rispetto alla capacità di un dato sistema, S&P500, di generare utili. E’ chiaro che, se il prezzo diventa troppo più alto rispetto alla crescita degli utili prodotti, prima o poi la situazione tornerà in equilibrio. In termini puramente statistici e nel medio-lungo termine, possiamo dire che se il valore è superiore alla media sarà più probabile una correzione dei prezzi, se è inferiore la probabilità sarà di un recupero degli stessi.

Qual’è la media di questo sistema da tenere d’occhio? La seguente:

La media è di 16,89 mentre il valore di oggi del CAPE RATIO è di 38,29. Entrando ora su quel mercato staremmo facendo un buon “investimento”? Chiariamo subito un punto, non vi è certezza ne tantomeno immediatezza nella risposta, ne di chi analizza ne tantomeno del mercato, ma chiaramente la statistica e i dati storici sembrerebbero dirci di no! Semmai, sulla scia di un mercato che per inerzia (o una fase che Daniel Kahneman, altro premio Nobel, nei suoi studi sulla “finanza comportamentale” definisce di euforia) continuasse a salire magari apprezzeremmo un’inversione dopo 3-6 mesi a mercati più alti anche di un 20%. Ma è altrettanto chiaro che più i prezzi salgono in queste condizioni più è anche probabile che il successivo ribasso faccia più danni di uno a P/E più contenuti! In altre parole, ad un certo punto il mercato riprende fiato dopo un rialzo (lo stesso vale chiaramente per i ribassi a effetti invertiti) e, quando inizierà la discesa, perderà tanto o poco a seconda dell’entità dello scostamento dalle sue medie. Questo a volte potrebbe essere anche il motivo per cui ci sorprendiamo che, nonostante un ribasso sia iniziato per una notizia che non sembrava particolarmente negativa, l’entità dello stesso (la sua profondità) risulta più marcata di quanto ci aspettassimo. Probabilmente i prezzi erano molto sopra le medie degli indicatori che caratterizzano le attività a cui si riferiscono. Va de se che altre volte accade anche che i cosiddetti storni (ossia ribassi di mercato) siano inferiori alla gravità dei fattori scatenanti perchè forse gli indicatori suddetti erano già vicini alle proprie medie (attività quotate FAIR=correttamente).

NB: Qui non si tratta di trading o speculazione di breve termine, ricordiamoci che stiamo affrontando il tema degli investimenti intesi a medio-lungo termine!!!

Per ora ci fermiamo qui nella parte due parleremo degli studi di Warren Buffet il quale, con i suoi indicatori, ci fornisce altri spunti di riflessione su indicatori che possono aiutarci a capire quando poter acquistare con maggior fiducia le attività finanziarie.

Arrivederci al prossimo articolo.

Artù
Author: Artù

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