Ieri sera si è espressa la FED e non è stata affatto benevola nei confronti dei mercati azionari. Statisticamente quando la FED ha modo di parlare al pubblico, a seguito di una riunione ufficiale, più di 4 volte su 5 lo fa in modo da calmierare eventuali effetti sui mercati, soprattutto se negativi. Questa volta non è successo. Paradossalmente, quando sono stati divulgati i dati sintetici prima del discorso di Jerome Powell, i mercati sembravano reagire positivamente alla prospettiva di una indicazione di 4 rialzi dei tassi nel corso del 2021, a partire probabilmente da marzo. In fondo ci sono analisti di società blasonate che prevedono anche 6 rialzi nel corso di quest’anno.
Poi finalmente inizia il discorso del Presidente FED ed ecco che i mercati invertono pesantemente la tendenza. Come mai?
Perchè dal discorso di Powell sembrerebbe che ormai la Banca Centrale si sia disinteressata agli effetti sui mercati azionari. Brutto segnale che lascia intendere in primis che il proprio obiettivo primario sia cambiato, ormai c’è piena occupazione e l’economia sembrerebbe tonica, e in secundis lasciando intendere che anche per il suo board i mercati siano tutt’altro che da proteggere.
La propria politica di intervento passa a focalizzarsi totalmente sul “pericolo inflazione” e con preoccupazione sostenendo che dovranno essere “humble and nimble” (umili, pronti a cambiare strategie se non arrivassero risultati, e agili, leggasi pronti ad intervenire). Lo si capisce valutando la scelta dei termini utilizzati nel dichiararsi pronta ad alzare i tassi sin da marzo! Non c’è spazio per la tutela dei mercati, sebbene non sia mai stato presente nel proprio mandato.
A ben guardare, in passato si è sempre rivelato complicato riportare sui binari l’inflazione fuori controllo, soprattutto quando quando l’exploit è durato per almeno due trimestri. Questo perchè l’inflazione, soprattutto in periodi di piena occupazione, genera quelle pressioni salariali che portano a generare l’esigenza di aumentare il livello di equilibrio dei prezzi, alzandolo, che a sua volta geneera nuova inflazione. Se i beni costano di più, la popolazione richiede stipendi più alti che generano costi per le aziende che sono a loro volta costrette ad alzare i prezzi dei beni che producono per non penalizzare la loro capacità di generare utili.
Non è detto che i mercati scenderanno ma è chiaro che il vento a favore degli ultimi anni (quantitative easing, tassi prossimi allo zero, ecc….) probabimente è terminato e non sappiamo quanto sarà sfavorevole. Preme ricordare, a titolo di esempio, che il rialzo dei tassi per le aziende vuol dire anche maggiore costo da portare in bilancio legato agli interessi passivi dei prestiti.
Sembrano chiari due elementi: che il livello di indebitamento delle aziende USA è veramente molto elevato, ai massimi di sempre, e che gli ultimi due mesi, seppur di pochissimo, il margin debt anzichè salire sta scendendo, ad indicare che qualche azienda sta iniziando a chiudere le posizioni debitorie magari vendendo i titoli che erano stati posti a garanzia (consideriamo che parte di queste posizione sono state aperte a scopo speculativo).
Seguiremo cosa accadrà nei prossimi giorni.