Il dato sensibile di questa settimana è stato quello sull’inflazione USA. L’ultimo è stato di 7,1%, le aspettative erano per un 7,3% (quasi la metà tra opinionisti, analisti ed esperti di settore propendevano per un 7,2%) mentre il dato definitivo finale si è attestato a 7,5%, quindi superiore alle aspettative. Negli Stati Uniti americani certamente le cose non sembrano andare per il verso giusto, così come accennato nell’articolo dello scorso fine settimana. Meglio non ripetersi su analisi di dati che a noi sembrano “purtroppo” (perché di certo non ci fa assolutamente piacere) forieri di un cambio di direzione dei venti che finora hanno spinto in alto le quotazioni delle società quotate sui mercati azionari. Il mondo si divide tra:
– coloro che sostengono che i mercati faranno un piccolo storno controllato e che poi torneranno a salire perché gli utili sono ancora positivi per il 74% delle società che li hanno pubblicati in questa tornata (utili che si riferiscono all’ultimo trimestre del 2021);
– quelli che evidenziano che il trend di crescita degli utili che registriamo oggi sono ampiamente già scontati nei prezzi che sono stati gonfiati dalle smodate immissioni di liquidità attuate nel corso degli ultimi anni dalle banche centrali. A riprova si avrebbero le capitalizzazioni di borsa molto superiori alla capacità di produzione annuale lorda, che tradotto sarebbe rappresentato dal valore più alto di sempre del Buffet Indicator.
Anche i P/e (rapporto P/e, ossia Prezzi/utili), corretti in modo da neutralizzare l’inflazione e i fattori ciclici, oggi sui mercati USA quotano mediamente 36,50 quando la media dal 1870 ci restituisce un valore di 16,91! Consideriamo che anche qui avremmo il valore più alto di sempre se non considerassimo quello del 2000 (poi sappiamo come è andata) che era a 44 ma che considerava prezzi in fortissima ascesa delle Dot.com (aziende tecnologiche legate al mondo di internet) per cui si era derogato all’obbligo di pubblicazione di almeno 3 bilanci affinchè fosse possibile la quotazione in borsa. Società che, appena create, ottenevano la quotazione in borsa con successivi prezzi che si raddoppiavano o triplicavano in pochi mesi senza poterli rapportare a nessun utile. La quasi totalità di quei titoli è miseramente fallita quasi immediatamente successivamente dopo lo scoppio della bolla speculativa sui mercati finanziari che ha portato l’indice Nasdaq a perdere l’85%. I valori massimi che il Nasdaq ha visto nel 2000 sono stati poi rivisti nel 2015.
Come si è conclusa questa settimana analizzando l’andamento dei mercati?
Ricordando che il corpo della candela è rosso se la chiusura è inferiore all’apertura (in questo caso dei valori “settimanali”) mentre è verde quando la chiusura è superiore all’apertura, notiamo che praticamente la linea gialla denota che il prezzo di chiusura di venerdì è lo stesso che stiamo vedendo da 4 settimane e la configurazione sembrerebbe denotare una fase di distribuzione che potrebbe portarci a testare nuovi minimi dalla prossima settimana. Per approfondimenti sul grafico a candele giapponesi (candlestick), invitiamo a seguire il corso di analisi tecnica nella sezione formazione (qui si parla delle candele giapponesi).
Ma, dopo aver ragionato sui numeri e a dimostrazione che noi siamo scienza, veniamo ora a all’aggiornamento delle teorie esoteriche di coloro che hanno iniziato ad ipotizzare un andamento dei mercati simile al 2000 riproponendo il grafico aggiornato:
Sembrerebbe che le conclusioni siano praticamente le stesse, dopo un piccolo rimbalzo che sembrerebbe completare la spalla destra della configurazione di un “testa e spalle ribassista”il mercato potrebbe scendere. Attenzione però, un conto è dare spiegazioni corroborate da considerazioni sui dati (scienza) e un altro è affidarsi all’esoterismo di curve che potrebbero sembrare simili (fantascienza).
Confidiamo in un capovolgimento di fronte dei dati attuali (magari un’improvvisa discesa di almeno un paio di punti dell’inflazione USA ed EU oppure su utili che accelerano il loro tasso di incremento annuale al punto da sgonfiare il gap tra capitalizzatione totale e pil, ecc…) che possa portare a una visione più confidentemente ottimistica sul futuro delle quotazioni azionarie.